«Esulterà, si
rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa». Sofonia racconta
un Dio che esulta, che salta di gioia, che grida: «Griderà di gioia per te», un
Dio che non lancia avvertimenti, oracoli di lamento o di rimprovero, come
troppo spesso si è predicato nelle chiese; che non concede grazia e perdono, ma
fa di più: sconfina in un grido e una danza di gioia. E mi cattura dentro. E
grida a me: tu mi fai felice! Tu uomo, tu donna, sei la mia festa. Mai nella
Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva la voce
interiore dei sogni; solo qui, solo per amore, Dio grida. Non per minacciare, ma
per amare di più. Il profeta intona il canto dell'amore felice, amore danzante
che solo rende nuova la vita: «Ti rinnoverà con il suo amore». Il Signore ha
messo la sua gioia nelle mie, nelle nostre mani. Impensato, inaudito: nessuno
prima del piccolo profeta Sofonia aveva intuito la danza dei cieli, aveva messo
in bocca a Dio parole così audaci: tu sei la mia gioia. Proprio io? Io che
pensavo di essere una palla al piede per il Regno di Dio, un freno, una
preoccupazione. Invece il Signore mi lancia l'invito a un intreccio gioioso di
passi e di parole come vita nuova. Il profeta disegna il volto di un Dio
felice, Gesù ne racconterà il contagio di gioia (perché la mia gioia sia in voi,
Giovanni 15,11). Il Battista invece è chiamato a risposte che sanno di mani e
di fatica: «E noi che cosa dobbiamo fare?». Il profeta che non possiede nemmeno
una veste degna di questo nome, risponde: «Chi ha due vestiti ne dia uno a chi
non ce l'ha». Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, cavallette e
miele selvatico, risponde: «Chi ha da mangiare ne dia a chi non ne ha». E
appare il verbo che fonda il mondo nuovo, il verbo ricostruttore di futuro, il
verbo dare: chi ha, dia! Nel Vangelo sempre il verbo amare si traduce con il
verbo dare. La conversione inizia concretamente con il dare. Ci è stato
insegnato che la sicurezza consiste nell'accumulo, che felicità è comprare
un'altra tunica oltre alle due, alle molte che già possediamo, Giovanni invece
getta nel meccanismo del nostro mondo, per incepparlo, questo verbo forte:
date, donate. È la legge della vita: per stare bene l'uomo deve dare. Vengono
pubblicani e soldati: e noi che cosa faremo? Semplicemente la giustizia: non
prendete, non estorcete, non fate violenza, siate giusti. Restiamo umani, e
riprendiamo a tessere il mondo del pane condiviso, della tunica data, di una
storia che germogli giustizia. Restiamo profeti, per quanto piccoli, e riprendiamo
a raccontare di un Dio che danza attorno ad ogni creatura, dicendo: tu mi fai
felice.
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