Prendete, questo è il
mio corpo. Il verbo è preciso e nitido come un ordine: prendete. Stringente e
senza alibi. Gesù non chiede agli Apostoli di adorare, contemplare, venerare
quel Pane, dice molto di più: io voglio stare nelle tue mani come dono, nella
tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro,
pensiero di te. Tua vita. Vi prego, prendete e dentro risuona tutto il bisogno
di Dio di realizzare con noi una comunione senza ostacoli, senza paure, senza
secondi fini. «Stringiti in me, stringimi in te» (G. Testori): il mio cuore lo
assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Lo esprime con
una celebre formula Leone Magno: partecipare al corpo e al sangue di Cristo non
tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo. Che possiamo tutti
diventare ciò che riceviamo: anche noi corpo di Cristo. E allora capiamo che Dio
non è venuto nel mondo con il semplice obiettivo di perdonare i nostri peccati.
Sarebbe una visione riduttiva, sia di Dio che dell'uomo. Il suo progetto è
molto più grande, alto, potente: portare cielo nella terra, Dio nell'uomo, vita
immensa in questa vita piccola. Molto più del perdono dei peccati: è venuto a
portare se stesso. Siamo abituati a pensare Dio come Padre, portatore di
quell'amore che ci è necessario per venire alla vita; ma Dio è anche Madre, che
nutre di sé i suoi figli, li nutre al suo petto, con il suo corpo. Ed è anche
Sposo, amore esuberante che cerca risposta. Dice Gesù: i miei discepoli non
digiunano finché lo sposo è con loro. E l'incontro con lui è come per gli amanti
del Cantico: dono e gioia, intensità e tenerezza, fecondità e fedeltà. Nel suo
corpo Gesù ci dà tutta la sua storia, di come amava, come piangeva, come
gioiva, ciò che lo univa agli altri: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore.
Prendete questo corpo, vuol dire: fate vostro questo mio modo di stare nel
mondo, il mio modo libero e regale di avere cura e passione per ogni forma di
vita. Con il suo corpo Gesù ci consegna la sua storia: mangiatoia, strade,
lago, volti, il duro della Croce, il sepolcro vuoto e la vita che fioriva al
suo passaggio. Con il suo sangue, ci comunica il rosso della passione, la
fedeltà fino all'estremo. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo
della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio. Che si estende fino
ad abbracciare tutto ciò che vive quaggiù sotto il sole, i poveri, gli scartati,
e poi i nostri fratelli minori, le piccole creature, il filo d'erba, l'insetto
con il suo misterioso servizio alla vita, in un rapporto non più alterato dal
verbo prendere o possedere, ma illuminato dal più generoso, dal più divino dei
verbi: donare.
E.
Ronchi
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