sabato 11 aprile 2020

Esegesi della Parola festiva e saluto del Vescovo - domenica 12 aprile 2020 - Pasqua del Signore


RISORGEREMO
Come il sole, Cristo ha preso il proprio slancio nel cuore di una notte: quella di Natale - piena di stelle, di angeli, di canti, di greggi - e lo riprende in un'altra notte, quella di Pasqua: notte di naufragio, di terribile silenzio, di buio ostile su di un pugno di uomini e di donne sgomenti e disorientati. Le cose più grandi avvengono di notte. Maria di Magdala esce di casa quando è ancora buio in cielo e buio in cuore. Non porta olii profumati o nardo, non ha niente tra le mani, ha solo la sua vita risorta: da lei Gesù aveva cacciato sette demoni. Si reca al sepolcro perché si ribella all'assenza di Gesù: «amare è dire: tu non morirai!» (Gabriel Marcel). E vide che la pietra era stata tolta. Il sepolcro è spalancato, vuoto e risplendente nel fresco dell'alba, aperto come il guscio di un seme. E nel giardino è primavera. I Vangeli di Pasqua iniziano raccontando ciò che è accaduto alle donne in quell'alba piena di sorprese e di corse. La tomba, che avevano visto chiudere, è aperta e vuota. Lui non c'è. Manca il corpo del giustiziato. Ma questa assenza non basta a far credere: hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno messo.
Un corpo assente. È da qui che parte in quel mattino la corsa di Maddalena, la corsa di Pietro e Giovanni, la paura delle donne, lo sconcerto di tutti. Il primo segno è il sepolcro vuoto, e questo vuol dire che nella storia umana manca un corpo per chiudere in pareggio il conto degli uccisi. Una tomba è vuota: manca un corpo alla contabilità della morte, i suoi conti sono in perdita. Manca un corpo al bilancio della violenza, il suo bilancio è negativo. La Risurrezione di Cristo solleva la nostra terra, questo pianeta di tombe, verso un mondo nuovo, dove il carnefice non ha ragione della sua vittima in eterno, dove gli imperi fondati sulla violenza crollano, e sulle piaghe della vita si posa il bacio della speranza. Pasqua è il tema più arduo e più bello di tutta la Bibbia. Balbettiamo, come gli evangelisti, che per tentare di raccontarla si fecero piccoli, non inventarono parole, ma presero in prestito i verbi delle nostre mattine, svegliarsi e alzarsi: si svegliò e si alzò il Signore.
Ed è così bello pensare che Pasqua, l'inaudito, è raccontata con i verbi semplici del mattino, di ognuno dei nostri mattini, quando anche noi ci svegliamo e ci alziamo. Nella nostra piccola risurrezione quotidiana. Quel giorno unico è raccontato con i verbi di ogni giorno. Pasqua è qui, adesso. Ogni giorno, quel giorno. Perché la forza della Risurrezione non riposa finché non abbia raggiunto l'ultimo ramo della creazione, e non abbia rovesciato la pietra dell'ultima tomba.
                                                                            von Balthasar

IL SILENZIO DI DIO È IL RESPIRO DELLA SUA PAROLA
mons. Franco Giulio Brambilla – vescovo di Novara
In questi terribili giorni molti si pongono la domanda sul “silenzio di Dio”. La crisi drammatica che stiamo vivendo, forse la più grave dopo il secondo conflitto mondiale, pone una questione lancinante: Dov’è Dio? Perché non parla? Provo a pensare cosa significa veramente che “Dio fa silenzio”. Significa forse che Dio non dà risposta al nostro dolore, alle nostre paure e ansie? Quando la nostra vita e le nostre imprese, il nostro ingegno e la nostra organizzazione sociale, si scontrano contro la barriera dei nostri limiti, allora vorremmo che Dio intervenisse a risolvere il male oscuro che miete molte vittime tra i nostri cari, a consolare il dolore che ci attanaglia e ci stringe come un groppo alla gola. Perché Dio non interviene? Il suo silenzio ci colpisce diritti al cuore.
Tuttavia, dobbiamo riconoscere che nel momento del benessere e dell’opulenza non ci siamo messi in questione, non abbiamo “lasciato parlare Dio”. In questi primi vent’anni del terzo millennio, la globalizzazione ci ha illuso che potessimo dominare il mondo, con una comunicazione istantanea, con le infinite possibilità della scienza e della tecnica, con la facilità degli scambi sociali, con il dominio sconsiderato sulla natura e le meravigliose conquiste del turboconsumismo. Da questo mondo Dio sembrava sparito, perché semplicemente non c’era spazio per Lui, non se ne sentiva il bisogno. La sua assenza non ci faceva problema, sembrava inopportuno addirittura chiamarlo in causa. Nel tempo del benessere e del godimento, potevamo benissimo farne a meno. Soprattutto la sua Parola ci sembrava così gratuita da essere superflua. Ma cosa significa veramente il silenzio di Dio? Proviamo a riflettere: il silenzio di una persona non è forse lo “spazio bianco” tra le sue parole, perché possano essere intese con chiarezza e profondità e trovino il tempo di calare nel nostro cuore? Il silenzio di un uomo o una donna non è forse la “linea bianca” tra una riga e l’altra sulla pagina della sua giornata, perché possa comunicare con il mondo, esprimere i suoi sogni, decidere le sue azioni, lasciare lo spazio all’ascolto dell’altro? Una persona che parla senza pause è insopportabile. Una pagina affollata senza linee bianche è illeggibile. La domanda “Dov’è Dio?” attraversa tutta la Bibbia, è continuamente riproposta, perché possiamo ascoltare la sua Parola ed essa diventi pane sapido e nutriente. Dio sta in silenzio quando non ascoltiamo la sua Parola. Forse potremmo dire: il silenzio di Dio è il respiro della
sua Parola.
Abbiamo fatto in questa Quaresima un’esperienza semplice: per quattro settimane, tutte le sere, collegati in streaming, per quindici minuti abbiamo meditato e pregato sulla Parola di Dio del giorno. Eccome se Dio ha parlato! Egli ha dato voce al nostro tormento, alle nostre domande, alle nostre ansie, alla nostra preghiera. Talvolta bisognava quasi difendersi dalla ricchezza inesauribile della sua Parola! Abbiamo trovato, nelle invocazioni dei Salmi, nelle pagine dei Profeti e nei racconti del Vangelo, infinite parole che davano respiro alle nostre domande, che modulavano i nostri sentimenti, perfino che avevano il coraggio della protesta e dell’invocazione accorata. E la gente è rimasta fedele all’appuntamento! Non possiamo interrogarci sul silenzio di Dio, se non lo lasciamo parlare nelle opere e nei giorni della vita quotidiana, se non lo lasciamo entrare nel dráma della nostra vita di ogni giorno. Se non gli lasciamo spazio, Dio si ritrae in disparte. E, allora, Egli ci colpisce con un “silenzio assordante”. Il silenzio di Dio, invece, è lo spazio che riusciamo a creare ogni giorno per rendere la sua Parola presente alla nostra vita, senza addomesticarla.
Parola di Dio, silenzio eloquente, fede orante: questa è stata la sfida e il dono di questi giorni. E forse continuerà ancora per un po’ di tempo… Tutti oggi si affannano a dire: “Non sarà più come prima”. E ci somministrano consigli da ogni parte. Molti hanno sperimentato che vivere rinchiusi in casa non è semplice: può smascherare la nostra aggressività, far emergere le nostre paure, insofferenze, spigolosità, incapacità a far posto all’altro.
V’è però anche un’altra possibilità: che si scopra un’altra dimensione dell’uomo, che non è solo homo faber, che produce, guadagna e capitalizza, ma è anche homo ludens, che gioca, canta, crea, dipinge, suona, scrive, racconta. Anzi, ancor meglio, può diventare homo religiosus, cioè un uomo o una donna che costruisce buoni legami (dal verbo re-ligare), che sa ascoltare, parlare, dialogare, pensare, pregare, lodare, invocare, consolare, amare, sperare. Non è forse questa la sfida più intrigante di questi giorni? Molti si chiedono: “Come sarà dopo?”. Dipenderà da noi. È presto per dirlo.
Intanto, fin quando non ci sarà il vaccino non potrà essere come prima. Si dovrà trovare una prossimità che non sia soffocante, una parola che faccia spazio all’altro, un lavoro che trovi il tempo della condivisione, un divertimento che non sia solo evasione, un benessere che non dimentichi la carità, una cura di sé che preveda il tempo della generosità. Come hanno fatto molti medici, operatori sanitari, lavoratori, amministratori, docenti e insegnanti, assistenti porta a porta, che nel silenzio hanno portato soccorso all’umanità ferita e dolente di questi giorni. Nel loro silenzio operoso è risuonato il silenzio eloquente di Dio, il respiro della sua Parola. Sì, perché Dio parli, bisogna che gli uomini e le donne imparino sempre da capo la sapienza della vita, lasciandosi ammaestrare dalla Parola che respira nel silenzio di Dio.
Quest’anno la parola “risurrezione” avrà un sapore più autentico. Prima per quelli che ci hanno lasciato; poi per tutti quelli che hanno salvato migliaia di vite negli ospedali e nella condivisione della carità; infine per tutti noi, se non avremo sciupato questo tempo.
Per questo vi auguro: Buona Pasqua di risurrezione a vita nuova!
                                                                   + Franco Giulio Brambilla
                                                                            Vescovo di Novara

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