Egli parlò loro di
molte cose con parabole. Magia delle parabole: un linguaggio che contiene di
più di quel che dice. Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo
leggi e accende idee, suscita emozioni, avvia un viaggio tutto personale. Gesù
amava il lago, i campi di grano, le distese di spighe e di papaveri, i passeri
in volo. Osservava la vita (le piccole cose non sono vuote, sono racconto di
Dio) e nascevano parabole. Oggi Gesù osserva un seminatore e intuisce qualcosa
di Dio. Il seminatore uscì a seminare. Non 'un', ma 'il' seminatore, Colui che
con il seminare si identifica, perché altro non fa' che immettere nel cuore e
nel cosmo germi di vita. Uno dei più bei nomi di Dio: non il mietitore che fa i
conti con le nostre povere messi, ma il seminatore, il Dio degli inizi, che dà
avvio, che è la primavera del mondo, fontana di vita. Abbiamo tutti negli occhi
l'immagine di un tempo antico: un uomo con una sacca al collo che percorre un campo,
con un gesto largo della mano, sapiente e solenne, profezia di pane e di fame
saziata. Ma la parabola collima solo fin qui. Il seguito è spiazzante: il
seminatore lancia manciate generose anche sulla strada e sui rovi. Non è
distratto o maldestro, è invece uno che spera anche nei sassi, un prodigo
inguaribile, imprudente e fiducioso. Un sognatore che vede vita e futuro
ovunque, pieno di fiducia nella forza del seme e in quel pugno di terra e rovi
che sono io. Che parla addirittura di un frutto uguale al cento per uno, cosa
inesistente, irrealistica: nessun chicco di frumento si moltiplica per cento.
Un'iperbole che dice la speranza altissima e amorosa di Dio in noi. Tuttavia,
per quanto il seme sia buono, se non trova acqua e sole, il germoglio morirà
presto. Il problema è il terreno buono. Allora io voglio farmi terra buona,
terra madre, culla accogliente per il piccolo germoglio. Come una madre, che sa
quanto tenace e desideroso di vivere sia il seme che porta in grembo, ma anche
quanto fragile, vulnerabile e bisognoso di cure, dipendente quasi in tutto da
lei. Essere madri della parola di Dio, madri di ogni parola d'amore.
Accoglierle dentro sé con tenerezza, custodirle e difenderle con energia,
allevarle con sapienza. Ognuno di noi è una zolla di terra, ognuno è anche un
seminatore. Ogni parola, ogni gesto che esce da me, se ne va per il mondo e
produce frutto. Che cosa vorrei produrre? Tristezza o germogli di sorrisi?
Paura, scoraggiamento o forza di vivere? Se noi avessimo occhi per guardare la
vita, se avessimo la profondità degli occhi di Gesù, allora anche noi
comporremmo parabole, parleremmo di Dio e dell'uomo con parabole, con poesia e
speranza, proprio come faceva Gesù.
E.
Ronchi
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