Il Vangelo mette a
confronto due magisteri: quello degli scribi, teologi e giuristi importanti, e
quello di una vedova povera e sola; ci porta alla scuola di una donna senza più
difese e la fa maestra di vita. Gli scribi sono identificati per tre
comportamenti: per come appaiono (passeggiano in lunghe vesti) per la ricerca
dei primi posti nella vita sociale, per l'avidità con cui acquisiscono beni:
divorano le case delle vedove, insaziabili e spietati. Tre azioni descritte con
i verbi che Gesù rifiuta: apparire, salire e comandare, avere. Sintomi di una
malattia devastante, inguaribile, quella del narcisismo. Sono di fatto gli
inconvertibili: Narciso è più lontano da Dio di Caino. Gesù contrappone un
Vangelo di verbi alternativi: essere, discendere, servire e donare. Lo fa
portandoci in un luogo che è quanto di più estraneo al suo messaggio si possa
immaginare: in faccia al tesoro del tempio; e lì, seduto come un maestro,
osserva come la gente getta denaro nel tesoro: "come" non
"quanto". Le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative. I
ricchi gettavano molte monete, Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due
monetine. Due spiccioli, un niente, ma pieno di cuore. Gesù se n'è accorto, unico;
chiama a sé i discepoli, li convoca, erano con la testa altrove, e offre la sua
lettura spiazzante e liberante: questa vedova ha gettato nel tesoro più di
tutti gli altri. Gesù non bada alla quantità di denaro. Anzi afferma che
l'evidenza della quantità è solo illusione. Conta quanto peso di vita c'è
dentro, quanto cuore, quanto di lacrime, di speranza, di fede è dentro due
spiccioli. L'uomo per star bene deve dare. È la legge della vita, siamo
progettati così. Questa capacità di dare, e dare come un povero non come un
ricco, ha in sé qualcosa di divino! Tutto ciò che è fatto con tutto il cuore ci
avvicina all'assoluto di Dio. Il verbo salvifico che Gesù propone in
contrapposizione al "divorare" degli scribi, è "gettare",
ripetuto sette volte nel brano, un dare generoso e senza ritorno. Lo sa bene la
vedova, l'emblema della mancanza. La sua mano getta, dona con gesto largo,
sicuro, generoso, convinto, anche se ciò che ha da donare è pochissimo. Ma non
è la quantità che conta, conta sempre il cuore, conta l'investimento di vita.
La fede della vedova è viva e la fa vivere. Non le dà privilegi né le riempie
la borsa, ma le allarga il cuore e le dà la gioia di sentirsi figlia di Dio,
così sicura dell'amore del Padre da donare tutto il poco che ha. Questa donna,
che convive col vuoto e ne conosce l'angoscia, è fiduciosa come gli uccelli del
cielo, come i gigli del campo. E il Vangelo torna a trasmettere il suo respiro
di liberazione.
E.
Ronchi
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