Il Vangelo è pieno di
vigne e di viti, come il Cantico dei cantici. La vigna è, tra tutti, il campo
più amato, in cui il contadino investe più lavoro e più passione, gioia e
fatica, sudore e poesia. Vigna di Dio e suoi operai siamo noi, profezia di
grappoli colmi di sole. Un padrone esce all'alba in cerca di lavoratori, e lo
farà per ben cinque volte, fino quasi al tramonto, pressato da un motivo che
non è il lavoro, tantomeno la sua incapacità di calcolare le braccia
necessarie. C'è dell'altro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare
niente? Il padrone si interessa e si prende cura di quegli uomini, più ancora
che della sua vigna. Qui seduti, senza far niente: il lavoro è la dignità
dell'uomo. Un Signore che si leva contro la cultura dello scarto! E poi, il
cuore della parabola: il momento della paga. Primo gesto contromano: cominciare
dagli ultimi, che hanno lavorato un'ora soltanto. Secondo gesto contro logica:
pagare un'ora soltanto di lavoro quanto una giornata di dodici ore. Mi commuove
il Dio presentato da Gesù: un Dio che con quel denaro, che giunge insperato e
benedetto a quattro quinti dei lavoratori, vuole dare ad ognuno quello che è
necessario a mantenere la famiglia quel giorno, il pane quotidiano. Il nostro
Dio è differente, non è un padrone che fa di conto e dà a ciascuno il suo, ma
un signore che dà a ciascuno il meglio, che estende a tutti il miglior dei
contratti. Un Dio la cui prima legge è che l'uomo viva. Non è ingiusto verso i
primi, è generoso verso gli ultimi. Dio non paga, dona. È il Dio della bontà
senza perché, che trasgredisce tutte le regole dell'economia, che sa ancora
saziarci di sorprese, che ama in perdita. Anzi la nostra più bella speranza è
un Dio che non sa far di conto: per lui i due spiccioli della vedova valgono
più delle ricche offerte dei ricchi; per quelli come lui c'è più gioia nel dare
che nel ricevere. E crea una vertigine dentro il nostro modo mercantile di
concepire la vita: mette l'uomo prima del mercato, il mio bisogno prima dei
miei meriti. Quale vantaggio c'è, allora, a essere operai della prima ora? Solo
un supplemento di fatica? Il vantaggio è quello di aver dato di più alla vita,
di aver fatto fruttificare di più la terra, di aver reso più bella la vigna del
mondo. Ti dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace che Tu sia
buono, perché sono io l'ultimo bracciante. Non mi dispiace, perché so che
verrai a cercarmi ancora, anche quando si sarà fatto molto tardi. Io non ho
bisogno di una paga, ma di grandi vigne da coltivare, grandi campi da seminare,
e della promessa che una goccia di luce è nascosta anche nel cuore vivo del mio
ultimo minuto.
E.
Ronchi
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