Vangelo immenso, un
volo d'aquila che ci impedisce piccoli pensieri, che opera come uno sfondamento
verso l'eterno: verso «l'in principio» (in principio era il Verbo) e il «per
sempre». E ci assicura che un'onda immensa viene a battere sui promontori della
nostra esistenza (e il Verbo si fece carne), che siamo raggiunti da un flusso
che ci alimenta, che non verrà mai meno, a cui possiamo sempre attingere, che
in gioco nella nostra vita c'è una forza più grande di noi. Che un frammento di
Logos, di Verbo, ha messo la sua tenda in ogni carne, qualcosa di Dio è in ogni
uomo. C'è santità e luce in ogni vita. E nessuno potrà più dire: qui finisce la
terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. E
nessuno potrà dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perché creatore e
creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato, uomo e Dio sono una
cosa sola. Almeno a Betlemme. «Gesù è il racconto della tenerezza del Padre»
(Evangelii gaudium), per questo penso che la traduzione, libera ma vera, dei
primi versetti del Vangelo di Giovanni, possa suonare pressappoco così: «In
principio era la tenerezza, e la tenerezza era presso Dio, e la tenerezza era
Dio... e la tenerezza carne si è fatta e ha messo la sua tenda in mezzo a noi».
Il grande miracolo è che Dio non plasma più l'uomo con polvere del suolo, dall'esterno,
come fu in principio, ma si fa lui stesso, teneramente, polvere plasmata,
bambino di Betlemme e carne universale. A quanti l'hanno accolto ha dato il
potere... Notiamo la parola: il potere, non solo la possibilità o l'opportunità
di diventare figli, ma un potere, una energia, una vitalità, una potenza di
umanità capace di sconfinare. «Dio non considera i nostri pensieri, ma prende
le nostre speranze e attese, e le porta avanti» (Giovanni Vannucci). Nella
tenerezza era la vita, e la vita era la luce degli uomini. Una cosa enorme: la
vita stessa è luce. La vita vista come una grande parabola che racconta Dio; un
Vangelo che ci insegna a sorprendere parabole nella vita, a sorprendere perfino
nelle pozzanghere della terra il riflesso del cielo. Ci dà la coscienza che noi
stessi siamo parabole, icone di Dio. Che chi ha la sapienza del vivere, ha la
sapienza di Dio. Chi ha passato anche un'ora soltanto ad ascoltare e ad
addossarsi il pianto di una vita è più vicino al mistero di Dio di chi ha letto
tutti i libri e sa tutte le parole. Da Natale, da dove l'infinitamente grande
si fa infinitamente piccolo, i cristiani cominciano a contare gli anni, a
raccontare la storia. Questo è il nodo vivo del tempo, che segna un prima e un
dopo. Attorno ad esso danzano i secoli e tutta la mia vita.
(E. Ronchi)
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