L’incredulità di Tommaso
La sera di Pasqua il
Signore entra in quella stanza chiusa, porte e finestre sbarrate, dove manca
l'aria e si respira paura. Solo Tommaso ha il coraggio di andare e venire.
Soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito Santo. Su quel pugno di creature,
chiuse e impaurite, inaffidabili, scende il vento delle origini, il vento che
soffiava sugli abissi, che scuote le porte chiuse del cenacolo: come il Padre
ha mandato me anch'io mando voi. Voi come me. E li manda così come sono, poca
cosa davvero, un gruppetto allo sbando. Ma ora c'è in loro "un di
più": c'è il suo Spirito, il segreto di Gesù, il suo respiro, ciò che lo
fa vivere: a coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati. Ecco il respiro,
l'essenza, lo spirito di Dio: per vivere Dio ha bisogno di perdonare. Per
essere Padre ha la necessità di abbracciare ogni figlio che torna, deve andare
da ogni figlio maggiore che non capisce, cercare ogni pecora che si perde. La
misericordia è un bisogno di Dio, non un attributo fra altri, ma l'identità
stessa del Padre, una necessità: oggi devo fermarmi a casa tua. Prima missione,
primo lavoro, prima evangelizzazione che consegna ai riempiti del Soffio di
Dio: voi perdonerete..., con l'atto creativo del perdono che riapre il futuro,
che tira fuori la farfalla dal bruco, dal verme che mi sembra o temo di essere.
Otto giorni dopo è ancora lì: l'abbandonato ritorna da quelli che sanno solo
abbandonare.
Li ha inviati per le
strade, e li ritrova ancora in quella stanza chiusa. Ma Gesù accompagna con
delicatezza infinita la fede piccola dei suoi, con umanità suprema gestisce
l'imperfezione delle vite di tutti. Non ci chiede di essere perfetti, ma di
essere autentici; non di essere immacolati, ma di essere incamminati. E si
rivolge a Tommaso che lui aveva educato alla libertà interiore, a dissentire,
che lui aveva fatto rigoroso e coraggioso, grande in umanità. Invece di
imporsi, si propone alle sue mani: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani;
tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. Gesù rispetta la sua fatica e i
suoi dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessità del vivere. Lui non
si scandalizza, si ripropone, anzi si espone con le sue ferite aperte. La
risurrezione non annulla la croce, non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha
rimarginato le labbra delle ferite. Croce e Pasqua sono un unico movimento,
un'unica vicenda. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da
superare, da annullare, è invece qualcosa che deve restare per l'eternità,
gloria e vanto di Cristo: le sue piaghe sono il vertice dell'amore, le sue
ferite sono diventate le feritoie della più grande bellezza della storia.
(E.
Ronchi)
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per il commento