NON
AMIAMO A PAROLE MA CON I FATTI (1 Gv. 3,18; Mt. 23,1-12)
Il titolo è preso da
una frase della prima lettera di Giovanni apostolo, ed è lo stesso che papa
Francesco ha voluto mettere nel suo messaggio in occasione della prima
giornata mondiale dei poveri. Mi pare che sia molto simile al tema della trentunesima
domenica, infatti, in riferimento agli scribi e farisei, rivolgendosi alla
folla e ai discepoli, nel Vangelo Gesù dice: “Praticate e osservate tutto
ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non
fanno”.
Con queste parole Gesù
vuole mettere in risalto il limite maggiore dell’azione degli scribi e dei
farisei, cioè, l’ipocrisia. Essi insegnavano ai fedeli ad osservare
minuziosamente i precetti (ben 613!) facendone un assoluto, ma senza lasciarsi convertire
il cuore. Questo succede quando l’osservanza diventa esteriore e formale,
quando i mezzi, cioè, i precetti si sostituiscono al fine, che è l’amore di
Dio. Per gli scribi e i farisei, che avevano un’autorità nell’insegnare l’osservanza
dei precetti, questo modo di agire diventava addirittura un pretesto per essere
i primi a non osservarli: “Legano fardelli pesanti sulle spalle della
gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. E’ l’ipocrisia
che dobbiamo assolutamente fuggire! Che vale innanzi tutto per chi ha un’autorità
educativa, ma non solo. Pensiamo, ad esempio, ai sacramenti che ci introducono
nella comunità cristiana, ai quali non diamo nessun seguito, dal momento che,
una volta ricevuti, ognuno va per la sua strada senza mettere più piede nei
luoghi propri della vita comunitaria! Strettamente legato all’ipocrisia Gesù
mette in risalto un altro limite dell’azione degli scribi e farisei, la
vanità o superbia: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati
dalla gente…si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti…”. Il
rigore nell’osservanza formale dei precetti porta ad una ostentazione di sé e
della propria persona, tale da sostituirsi al Signore stesso nel giudizio verso
il prossimo. Questo atteggiamento di vanità e superbia diventa un ostacolo all’azione
della grazia di Dio. Gesù ci insegna invece l’umiltà, che riconosce come
fondamento della propria stessa vita, di tutto ciò che si è e che si fa, Dio
stesso.
Onestamente dobbiamo
affermare che nessuno è immune dall’atteggiamento di vanità e di ipocrisia;
Gesù ci richiama al servizio dell’umiltà, l’unico in grado di farci
superare la separazione tra l’annuncio e la pratica della vita, perché ci rimanda
continuamente al Signore, unico Padre e Maestro.
don Pietro
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