domenica 5 novembre 2017

Il pensiero di don Pietro - domenica 5 novembre 2017

NON AMIAMO A PAROLE MA CON I FATTI  (1 Gv. 3,18; Mt. 23,1-12)
Il titolo è preso da una frase della prima lettera di Giovanni apostolo, ed è lo stesso che papa Francesco ha voluto mettere nel suo messaggio in occasione della prima giornata mondiale dei poveri. Mi pare che sia molto simile al tema della trentunesima domenica, infatti, in riferimento agli scribi e farisei, rivolgendosi alla folla e ai discepoli, nel Vangelo Gesù dice: “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno”.
Con queste parole Gesù vuole mettere in risalto il limite maggiore dell’azione degli scribi e dei farisei, cioè, l’ipocrisia. Essi insegnavano ai fedeli ad osservare minuziosamente i precetti (ben 613!) facendone un assoluto, ma senza lasciarsi convertire il cuore. Questo succede quando l’osservanza diventa esteriore e formale, quando i mezzi, cioè, i precetti si sostituiscono al fine, che è l’amore di Dio. Per gli scribi e i farisei, che avevano un’autorità nell’insegnare l’osservanza dei precetti, questo modo di agire diventava addirittura un pretesto per essere i primi a non osservarli: “Legano fardelli pesanti sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. E’ l’ipocrisia che dobbiamo assolutamente fuggire! Che vale innanzi tutto per chi ha un’autorità educativa, ma non solo. Pensiamo, ad esempio, ai sacramenti che ci introducono nella comunità cristiana, ai quali non diamo nessun seguito, dal momento che, una volta ricevuti, ognuno va per la sua strada senza mettere più piede nei luoghi propri della vita comunitaria! Strettamente legato all’ipocrisia Gesù mette in risalto un altro limite dell’azione degli scribi e farisei, la vanità o superbia: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente…si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti…”. Il rigore nell’osservanza formale dei precetti porta ad una ostentazione di sé e della propria persona, tale da sostituirsi al Signore stesso nel giudizio verso il prossimo. Questo atteggiamento di vanità e superbia diventa un ostacolo all’azione della grazia di Dio. Gesù ci insegna invece l’umiltà, che riconosce come fondamento della propria stessa vita, di tutto ciò che si è e che si fa, Dio stesso.
Onestamente dobbiamo affermare che nessuno è immune dall’atteggiamento di vanità e di ipocrisia; Gesù ci richiama al servizio dell’umiltà, l’unico in grado di farci superare la separazione tra l’annuncio e la pratica della vita, perché ci rimanda continuamente al Signore, unico Padre e Maestro.

                                                                                                     don Pietro

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