sabato 10 aprile 2010

Il pensiero di don Pietro

DOPO LO STUPORE IL DUBBIO. (Gv.20,19-31)
La domenica di Risurrezione abbiamo visto gente impaurita da ciò che era successo, gente correre dalla gioia di aver visto e dalla curiosità di vedere, gente piangere dall’emozione e gente piena di stupore e di meraviglia. Tutti quanti avvolti dalla grandezza di un mistero inesprimibile: Colui che era morto in croce è ritornato in vita! Oggi lo stupore e la meraviglia lasciano il posto al dubbio che spinge alla riflessione e alla consapevolezza. La fede più vera è quella che passa dal dubbio e, attraverso la riflessione prima e l’abbandono poi, ci fa giungere alla piena consapevolezza della verità di Cristo Risorto. La grande vittoria di Tommaso non sta nell’aver quasi costretto Gesù a mostrargli le mani e il costato: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi…e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”, ma sta nel fatto che egli ha saputo riconoscere Gesù come Signore e come Dio: “Mio Signore e mio Dio!” La fede di Tommaso è considerata la più alta e radicale di tutto il Nuovo Testamento, eppure viene da uno che ripeteva ostinatamente le proprie condizioni, quasi che Gesù fosse obbligato a sottostarvi. Oggi si ha la sensazione di trovarsi spesso di fronte ad una pratica religiosa stanca quanto inconsapevole, ereditata o addirittura subita; magari fosse sfiorata dal dubbio che pungola e spinge a cercare e a domandare senza posa! Quanto appare desiderabile anche per noi l’esperienza del dubbio che avvolse Charles de Foucauld quando pregava dicendo: “O Dio, se tu esisti, fa’ che io ti conosca!” Dio vuole la nostra collaborazione alla sua opera di salvezza; Egli vuole essere servito, adorato e amato da uomini liberi e consapevoli. Così l’amore nasce e si diffonde solo in un contesto di profonda libertà interiore. I tipi come Tommaso ci mettono tempo a inginocchiarsi, ma quando si inginocchiano lo fanno veramente. Quando amano, amano veramente. Tommaso non rinuncia al suo mestiere di essere uomo e quando si offre al Cristo glorioso non è uno schiavo che si offre, ma un uomo. E se offre a Cristo il suo cuore, è un cuore di uomo che si offre. Se china la sua testa davanti a lui, è una testa di uomo che si china. Oggi non deve essere la violenza del rifiuto a spaventare la Chiesa, ma l’indifferenza che non si degna di volgere lo sguardo e neppure accetta l’invito a mettere la mano sul segno dei chiodi. Quella mano, quel costato, semplicemente, non interessano più. Dobbiamo avere nostalgia, come comunità cristiana, di tipi come Tommaso.

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